Bukhara è una delle principali città lungo la Via della Seta. E’ caratterizzata da edifici millenari e dal suo un centro storico tuttora abitato. Poco è cambiato nel corso degli ultimi due secoli. Bukhara è una delle migliori località in Uzbekistan e Asia Centrale per farsi un’idea di com’era il Turkestan prima dell’arrivo dei russi.

Bukhara, lungo la via della seta

Dopo gli splendidi mosaici di Samarcanda, il color marrone che impera a Bukhara è una sorta di doccia fredda. Però quasi tutto il centro storico della città è una meraviglia architettonica. Include una massiccia fortezza reale, antiche madrase, antichi bagni pubblici e i resti di un mercato un tempo molto esteso.

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Bukhara, cosa vedere

Nella città di Bukhara si possono contare più di 140 edifici protetti. I più importanti dei quali sono la Labi-hauz, una piazza secentesca costruita intorno a una vasca. Poi i tre bazar coperti e l’imponente minareto Kalan. Quest’ultimo risale al XII secolo ed è alto 47 metri, un tempo era l’edificio più alto dell’Asia. Infine il mausoleo di Ismail Samani, la struttura più antica della città (completata intorno al 905) e certamente una delle più eleganti dell’Asia centrale.

Bukhara Uzbekistan Po-i-Kalan

Sebbene alcuni motivi decorativi che ornano i tappeti siano originari di questa città, i famosi tappeti di Bukhara, tanto apprezzati in Occidente, in realtà vengono realizzati in Turkmenistan. Territorio che un tempo faceva parte del khanato di Bukhara. Qui gli abitanti sono considerati più ospitali di quelli di Samarcanda e della capitale Tashkent. Se avrete la possibilità di rimanere abbastanza a lungo in questo paese, vi accorgerete che i tappeti emanano un fascino paragonabile a quello dei monumenti e dei siti della loro città.

La storia di Bukhara

L’Emirato di Bukhara fu uno Stato islamico derivato dal Khanato di Bukhara nel 1785. Nel 1873 e poi divenuto protettorato dell’Impero Russo. Confinava a sud con l’Afghanistan e con la Persia, a est col Khanato di Kokand, a ovest col Khanato di Khiva. Il 2 settembre 1920 sotto la spinta dello Yeni Bukharlylar, l’ultimo emiro Mohammed Alim Khan abdica. Poi il giorno 8 ottobre 2020 l’emirato invaso dai bolscevichi del Turkestan diventa la Repubblica Sovietica Popolare di Bukhara, che sarà poi annessa dall’URSS.

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Gli Emiri

1785–1800 Mir Masum Shah Murad
1800–1826 Haidar Tora
1826 Hussain
1826 Omar
1826–1860 Nasrullah Khan
1860–1885 Muzaffar ad-Din
1885–1910 Abd al-Ahad
1910–1920 Mohammed Alim Khan

Nasrullah Khan (1826 – 1860)

Nasrullah Khan fu sovrano dell’emirato di Bukhara tra il 1826 e il 1860. Rampollo della dinastia Manghit, prese il potere nel 1826 uccidendo il fratello maggiore Said. Diede al governo del paese una conduzione dispotica e crudele. Mantenne alcune pratiche barbare proprie dei canati dell’Asia centrale. Come ad esempio lo stato di schiavitù in cui erano relegati molti cittadini russi, fatto che costituiva un motivo di forte attrito con lo zar.

In quel periodo l’emirato subiva le attenzioni dell’impero russo e della Compagnia delle Indie orientali. Quest’ultima interessata alla difesa dei possedimenti britannici in India e alla penetrazione commerciale nell’Asia centrale in antagonismo allo zar, il cosiddetto Grande Gioco.

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Per questi motivi, nel 1838, l’anno in cui fu deciso l’avvio della tragica prima guerra anglo-afghana. Così il tenente colonnello britannico Charles Stoddart fu inviato a Bukhara per rassicurare Nasrullah sulle effettive intenzioni degli inglesi, che sebbene in procinto di attaccare l’Afganistan non avevano intenzioni ostili verso l’emirato. Il diplomatico aveva anche il compito di indurre l’emiro bucarese a liberare gli schiavi russi colà tenuti prigionieri e quindi a eliminare un possibile pretesto del governo russo per attaccare Nasrullah.

Stoddart e il grande gioco

Appena giunto a Bukhara, però, Stoddart fu fatto prigioniero con l’accusa di aver mancato di rispetto all’emiro per averlo salutato senza smontare da cavallo, secondo l’uso militare inglese. Per tre anni l’ufficiale britannico sarebbe vissuto in una cella sotterranea in condizioni terribili. La sua prigione, definita dai locali “il buco nero” (Siah Cha), consisteva in una fossa profonda sei metri, infestata dai parassiti e accessibile solo facendo uso di una fune. E’ però contestato che Stoddart sia stato effettivamente relegato nel “buco nero”, avendo egli stesso scritto nel marzo 1839 di essere stato trattenuto nello Zindan cioè nella prigione comune.

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In un’occasione Stoddart sarebbe stato raggiunto dal boia che gli avrebbe intimato di abbracciare la religione musulmana, pena la morte, così costringendolo all’abiura. Peraltro, anche la notizia dell’abiura è stata messa in discussione. Stando ad una lettera inviata alla moglie dallo stesso protagonista, Stoddart sarebbe stato liberato dalla prigione con l’impegno di “servire l’emiro”. Un servizio quindi che non comprendeva necessariamente l’abiura.

Nell’autunno 1841 l’ufficiale britannico Arthur Conolly, altro grande protagonista del Grande Gioco, decise di fare visita a Nasrullah per ottenere la liberazione di Stoddart. Dapprima Nasrullah ricevette Conolly in modo cordiale e accettò di alleviare le condizioni di detenzione di Stoddart, consentendogli di risiedere con lui presso una dimora privata, l’abitazione di Abdul Samut. Quando però apprese della rivolta afgana e della successiva disfatta britannica in Afganistan, l’emiro non esitò a privare della libertà anche Conolly.

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La condanna a morte

Nel giugno 1842 i due prigionieri furono condannati a morte con l’accusa di spionaggio. L’esecuzione dei condannati, costretti a scavarsi la fossa con le loro mani, ebbe luogo di fronte alla cittadella bucarese (Ark) al cospetto di una folla silenziosa.

Il primo a cadere sotto la scure del boia fu proprio Stoddart. Al momento dell’esecuzione ebbe la presenza di spirito di denunciare la tirannide dell’emiro. Mentre secondo un’altra versione, in punto di morte avrebbe invece rivendicato la propria fede cristiana. Fu poi il turno di Conolly che tuttavia ricevette da Nasrullah l’offerta di avere salva la vita se si fosse fatto musulmano come Stoddart. Egli rifiutò, rilevando che la conversione non aveva salvato la vita al compagno e quindi non avrebbe potuto salvare la sua, e si disse pronto a morire.

Fu giustiziato pochi istanti dopo. L’anno dopo il reverendo Joseph Wolf si avventurò nell’emirato per conoscere la sorte dei due sventurati connazionali, scampando egli stesso all’ostilità dell’emiro in modo fortuito, visto che gli si sarebbe presentato con un abbigliamento che ne avrebbe provocato l’ilarità. Poco dopo la morte di Nasrullah, avvenuta nel 1860, l’emirato perse la propria indipendenza, diventando protettorato russo (1868).

Mohammed Alim Khan (1911 – 1920)

Mohammed Alim Khan (1880 – Kabul, 1944) è stato l’ultimo emiro della dinastia Manghit, l’ultima dell’emirato di Bukhara nell’Asia Centrale. Anche se il Bukhara era, dal 1873, un protettorato dell’Impero Russo, l’Emiro presiedeva alle relazioni internazionali del suo emirato come monarca assoluto e regnò dal 3 gennaio 1911 al 30 agosto 1920.

Mohammed Alim Khan era un discendente di Genghis Khan, l’ultimo a regnare come sovrano di una nazione. A tredici anni fu mandato per tre anni dal padre Abdulahad Khan a studiare governo e moderne tecniche militari nella città di San Pietroburgo. Nel 1896, dopo aver ricevuto conferma formale come principe ereditario del Bukhara dal governo russo, tornò in patria. Dopo aver assistito suo padre nell’amministrazione fu nominato governatore della regione del Nasef, carica che ricoprì per i successivi dodici anni.

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Fu poi trasferito nella provincia settentrionale di Karminah, dove governò per altri due anni. Nel 1910 il padre morì e Mohammed Alim Khan gli succedette. Il governo di Alim Khan cominciò con una promessa: inizialmente dichiarò che non si sarebbe aspettato e non avrebbe più accettato alcun dono e vietò ai suoi ufficiali di chiedere tangenti e di imporre tasse grazie alla propria autorità. Col tempo, però, l’atteggiamento dell’emiro nei confronti di corruzione, tangenti e salari statali cambiò. Il conflitto tra tradizionalisti e riformisti finì con la vittoria dei primi e l’esilio dei secondi a Mosca o a Kazan.

L’ultimo emiro

Si pensa che Alim Khan, inizialmente favorevole a modernizzazione e riforme, avesse successivamente capito che in caso di effettiva attuazione delle riforme non ci sarebbe stato posto per lui o per i suoi discendenti come sovrani e per tale motivo si fosse spostato su posizioni più tradizionaliste, al pari dei suoi predecessori.

Uno dei più importanti scrittori Tagiki, Sadriddin Ayni, scrisse vivaci resoconti della vita sotto l’emiro. Una delle sue opere è intitolata I carnefici del Bukhara (“Jallodon-i Bukhara”: Sadriddin era stato frustato per aver parlato tagico). Alim Khan è stato l’unico sovrano Manghit ad aggiungere il titolo di Califfo al suo nome. Quando l’Unione Sovietica annesse Bukhara nel 1920 e venne proclamata la Repubblica sovietica del Bukhara l’emiro fuggì in esilio in Afghanistan dove morì, a Kabul, nel 1944.