Libia, diario di viaggio. Racconti di viaggio Libia di Roberto Bao. Viaggio in Libia Anno 2002, lo “scatolone di sabbia” ai tempi di Gheddafi.

Rientro a Bengazi

7 agosto 2002. La luce era ormai poca sulla strada del ritorno per la città di Bengazi. La giornata era stata lunga… iniziata di buon mattino ci aveva portato sull’altipiano delle Montagne Verdi facendoci vedere dapprima le costruzioni lasciate dagli Italiani negli anni 30’ per poi ammirare e costeggiare le spiagge desolate e incontaminate del paese.

La meta di oggi era Cyrene detta l’Atene d’Africa, per le rovine tramandateci dal tempo, costruite dapprima dagli abitanti dell’isola greca di Santorini, e modellate poi da romani e bizantini a seconda delle esigenze. Alcune colonne, mosaici raffinati e ampi e maestosi templi, restano scolpiti nel tempo per ricordarci la grandezza toccata da queste civiltà, che hanno fatto da culla all’arte e alla filosofia.

Sulla strada che collegava Cyrene al suo porto naturale, allora fondamentale per il commercio, circa 14 chilometri, sorgono centinaia e centinaia di tombe di varie forme, grandezze e stili. Doveva essere un esperienza unica percorrere allora tale strada che collegava Cyrene ad Apollonia. Di quest’ultima ci resterà per sempre scolpito nella memoria, il ricordo delle acque cristalline del mare che quasi toccava uno splendido teatro greco-romano, le urla di un gruppo di bambini divertiti che nuotavano nel mare e in lontananza il richiamo del “Muezzin” che con voce devota ricordava ai fedeli il momento della preghiera al Dio.

Sulla strada per Zliten 

8 agosto 2002. Oggi è la giornata del trasferimento, dalla Cirenaica alla Tripolitania, 800 chilometri passati tra l’orizzonte del deserto e le spiagge accarezzate da un mare ancora incontaminato. Di tanto in tanto la nostra corsa è interrotta dai padroni di queste terre isolate: i cammelli.

Spesso al nostro passaggio le mandrie di cammelli, che pascolano nel terreno ancora dominato da piccoli arbusti e dagli irti cespugli, incrociano la strada quasi a volerci ricordare che i nostri mostri meccanici sono solo ospiti di passaggio nei loro territori… destinati a morire se lasciati soli in questo aspro terreno predesertico. Durante una di queste fermate obbligate, per la prima volta ho avuto l’occasione di osservare da vicino, in tutta la loro regalità, questi animali del deserto.

Tripoli Ghadames 

10 agosto 2002. Eccolo finalmente il tanto decantato deserto, una sensazione unica, il vuoto… stupore e gioia mi suscitava tale paesaggio, le rocce che erano sopravvissute alla distruzione del sole sembravano parlarmi per dirmi che prima di questo vuoto assoluto, questa morte apparente qui esistevano altre forme di vita, sterminati campi verdi e fiori multicolori, rigogliose piante e animali bellissimi che vivevano qui, sotto un sole cocente con lo sfondo di altissime montagne che ora si sono trasformate in cumuli di rocce spuntate, erose dal vento che ora soffia impavido su questo manto di sabbia.

Ora è lui il vero padrone di questo angolo di mondo, nulla più è in grado di contrastarlo, quando gli pare gioca alzando in cielo tornado di sabbia, ci accarezza caldo per darci sollievo sotto a questo sole cocente, scherza spostando dune fin sopra l’asfalto di questa strada diritta e interminabile… unico diversivo per il nostro autista che con lo stesso spirito dei pionieri del passato ci ha condotto fino a Ghadames, l’oasi alle porte del deserto, che per gli antichi viaggiatori delle carovane del deserto doveva apparire come un vero e proprio miraggio.

Ghadames

11 agosto 2002. Oltrepassiamo la porta dell’antico mistero e subito ci rendiamo conto di quanta saggezza celavano questa bianche mura, erette nel bel mezzo del deserto. Un labirinto di piccoli viottoli che danno conforto, ombra e riparo e tutti coloro che vi si aggirano.

Ora questo villaggio è stato svuotato e sono state date delle case moderne a coloro che lo abitavano. E’ come aver tolto l’aria, l’acqua, le tradizioni e la cultura a questa gente cordiale e pacifica. Berberi Tuareg e Arabi vivono sotto lo stesso cielo, dentro la stessa oasi, in pace da migliaia di anni. Passeggiando tra gli antichi vicoli di tanto in tanto si incontrano delle piccole piazze ventilate dove al centro vi sono stati posti graziosi alberi che rubano i raggi del sole cocente e donano ombra e riparo a coloro che sostano per riposare.

La prima strada asfaltata da Tripoli per Ghadames fu costruita durante il periodo degli italiani, quella che allora era chiamata “La freccia del deserto” impiegava ben tre giorni per collegare le due città. Di tanto in tanto si possono notare, ai lati della comoda e rapida autostrada odierna, i resti della piccola striscia di asfalto, oramai cotto dal sole, che ci accompagna lenti nella nostra discesa a Ghadames.

Più avanti dove cespugli e arbusti lasciano spazio solo a sabbia e pietre sono i tralicci dell’elettricità ad accompagnarci, indicandoci la via da seguire per raggiungere l’oasi. Ci tengono un po’ compagnia questi giganti di ferro costruiti dall’uomo. Fa pensare comunque la fatica compiuta da uomini di allora e di oggi che ci permette di dire che Ghadames non è più un oasi nel deserto ma una caratteristica città a poco più di 5 ore dalla capitale Tripoli.

Pensiamo però che prima dell’avvento dei motori, Ghadames era collegata con il resto del mondo solo dalle carovane del deserto, uniche portatrici di novità, notizie dal mondo lontano, solo così ci si può spiegare l’appellativo di oasi nel deserto.